giovedì 1 ottobre 2009

Letture Mannare : Fred Vargas, l'uomo a rovescio

Parto subito con uno dei romanzi che più mi ha entusiasmato, qui la figura del lupo mannaro viene fuori in modo veramente insolito, una bellissima storia, un giallo che si mescola con l'horror, i paesaggi che la vargas descrive in maniera veramente sublime, il classico libro che si legge al volo e appena finito ti viene voglia di rileggerlo.








Le prime pagine


Martedì ci furono quattro pecore sgozzate a Ventebrune, nelle Alpi. E giovedì nove a Pierrefort. - I lupi, -disse un vecchio. - Scendono a valle.
L'altro vuotò il bicchiere, alzò la mano. - Un lupo, Pierrot, un lupo. Una bestia come non ne hai mai viste. Che scende a valle.
I. C'erano due tizi, stesi tra i rovi.
- Cosa ti credi, di insegnarmi il mio mestiere? - bisbigliò il primo.
- Non mi credo niente, - rispose il compagno, un ragazzone con i capelli lunghi e biondi che si chiamava Lawrence.
I due uomini, con il binocolo in pugno, osservavano immobili una coppia di lupi. Erano le dieci del mattino, il sole gli cuoceva la schiena.
- Quel lupo lì è Marcus, - riprese Lawrence. - È tornato.
L'altro scosse il capo. Era un uomo della zona, piccolo, scuro, un po' tignoso. Da sei anni teneva d'occhio i lupi del Mercantour. Si chiamava Jean.
- È Sibellius, - mormorò.
- Sibellius è più grosso. E non ha quel ciuffo giallo intorno al collo.
Jean Mercier, spiazzato, regolò di nuovo il binocolo, mise a fuoco ed esaminò attentamente il lupo maschio che, trecento metri a est.del loro punto di osservazione, girava intorno alla rupe di famiglia levando talora il muso al vento. Erano vicini, troppo vicini, avrebbero fatto meglio a indietreggiare ma Lawrence voleva filmare a tutti Ì costi. Era venuto per questo, per filmare i lupi, poi se ne sarebbe tornato in Canada con il suo reportage. Ma da sei mesi rinviava il ritorno con oscuri pretesti. Per dirla proprio tutta, il canadese aveva messo le tende. Jean Mercier sapeva il perché. Lawrence Donald Johnstone, noto studioso dei grizzly canadesi, aveva perso la testa per un pugno di lupi europei. E non si decideva a dirlo. Del resto, il canadese parlava il meno possibile.
- Tornato in primavera, - mormorò Lawrence. - Messo su famiglia. Ma lei non la inquadro.
- E Proserpine, - bisbigliò Jean Mercier, - la figlia di Janus e Junon, terza generazione.
- Con Marcus.
- Con Marcus, - ammise finalmente Mercier. - E quel che è sicuro è che ci sono dei lupacchiotti nuovi nuovi.
- Bene.
- Benissimo.
- Quanti?
- Troppo presto per dirlo.
Jean Mercier prese qualche appunto su un taccuino appeso alla cintura, bevette dalla borraccia e riprese la propria posizione senza far scricchiolare neppure un fuscello. Lawrence posò il binocolo, si asciugò la faccia. Tirò a sé la cinepresa, e dopo aver messo a fuoco Marcus l'avviò sorridendo. Aveva passato quindici anni della sua vita tra Ì grizzly, i caribù e i lupi del Canada, a percorrere da solo le immense riserve, a osservare, annotare, filmare, dando talora una mano ai suoi amici selvatici più vecchi. Non esattamente dei mattacchioni. Una vecchia femmina di grizzly, Joan, gli veniva incontro a capo chino per farsi grattare la pelliccia. E Lawrence non immaginava che la povera Europa, striminzita, devastata e ammansila, avesse qualcosa di decente da offrirgli. Aveva accettato quella missione-reportage nel massiccio del Mercantour con molta riluttanza, tanto per.
E invece aveva finito per mettere radici in quell'angolo di montagna, rimandando il ritorno. In poche parole, temporeggiava. Temporeggiava per i lupi europei e il loro misero manto grigio, parenti poveri e ansanti degli animali folti e chiari dell'Artico e che meritavano, secondo lui, tutto il suo affetto. Temporeggiava per i nugoli di insetti, per il sudore a fiumi, per la macchia carbonizzata, per il calore crepitante delle terre mediterranee. - E aspetta, non hai ancora visto niente, - gli diceva Jean Mercier in tono un po' sentenzioso, con l'espressione orgogliosa degli habitué, di quelli stracotti, dei sopravvissuti dell'avventura solare. - Siamo solo a giugno.
E poi temporeggiava per Camille.
Da quelle parti dicevano «piantare le tende».
- Non è un rimprovero, - gli aveva detto Jean Mercier in tono solenne, - è solo perché tu lo sappia: hai piantato le tende. – Be’, adesso lo so, - aveva risposto Lawrence.
Lawrence spense la cinepresa, la posò delicatamente sulla sua borsa, la copri con un panno bianco. Il giovane Marcus era sparito verso nord.
- A caccia prima del grande caldo, - commentò Jean.
Lawrence si spruzzò la faccia, inumidì il cappellino, bevette una dozzina di sorsi. Dio santo, che sole. Mai visto un inferno simile.
- Almeno tre lupacchiotti, - mormorò Jean.
- Sto cuocendo, - disse Lawrence con una smorfia, passandosi la mano sulla schiena.
- Aspetta. Non hai ancora visto niente.

© 2006, Giulio Einaudi editore

0 commenti:

Posta un commento

 

My Blog List

Stats

The Dark Moon Of Molde Copyright © 2009 WoodMag is Designed by Ipietoon for Free Blogger Template