martedì 6 ottobre 2009

Holly’s Caffè

La pioggia era arrivata prima del previsto quell’autunno, se mai qualcuno a Molde avesse avuto la voglia di mettere il naso fuori dalla porta sicuramente ci avrebbe ripensato. Holly puliva il bancone del suo bar con lo sguardo spento dopo una giornata di affari magri e tempo grigio. Il termostato del condizionatore con uno scatto sordo avvertiva che anche la temperatura stava scendendo sotto la madia di quei giorni e il flusso di aria calda comincio ad avvolgere le spalle e pian piano tutto il corpo di Holly. Ebbe un brivido e alzò lo sguardo verso la finestra che dava direttamente sulla piazza. Tirò su le maniche dalla camicia e continuò a tirare avanti e indietro quello straccio logoro e scuro.
“Tempo da cani” pensò, mentre un’altra tazza, la seconda quella sera cadeva sulle assi del pavimento.
Non era stata proprio una bella giornata, e forse neanche il giorno dopo sarebbe stato buono. Ma a Molde andava così, in estate potevi lavorare con i turisti che affollavano le vie del porto e le bancarelle sui moli, poi dovevi aspettare il Natale per rivedere un po’ di vita in giro.
Tirò lo straccio sopra la macchina del caffè, che avrebbe tanto avuto bisogno di una bella pulita, ma forse ancora non era arrivato il suo momento, c’era il pavimento da lavare, i bicchieri del giorno da asciugare e i frigoriferi da riempire.
In quel momento tutto il locale era deserto, non c’era un unico rumore da ascoltare, fatta eccezione per quel dannato condizionatore.
Continuò a riordinare il suo locale con movimenti che ripeteva da anni ormai e che con il passare del tempo erano diventati automatici, ma infondo amava quel momento, poteva pensare a tutto quello che non aveva avuto, a tutti gli errori commessi, e alla volta in cui aveva perso la verginità proprio dietro a quel bancone.
Sentì aprire la porta mentre puliva la macchina per l’espresso, l’unica cosa che gli mancava da fare.
“Come va amico, asciugati le scarpe”
Lo disse cercando un sorriso al di là di quegli occhi che lo fissavano. Holly non ebbe paura, primo perché conosceva quel volto, secondo perché pesava cento chili e difficilmente qualcuno in paese gli faceva il muso duro.
“Caffè?”
L’uomo non rispose, e continuava a guardarlo da dietro quegli occhi vuoti e rabbiosi.
Holly conosceva bene chi gli stava di fronte, lo conosceva da sempre, ma quello che non conosceva era quello sguardo carico di odio e rabbia. Continuò a guardarlo per capire cosa stesse accadendo a quel corpo che cominciava a cambiare.
Ma di colpo la curiosità divenne tensione e la tensione divenne paura, vide i vestiti strapparsi, vide quel viso tirarsi e perdere ogni lineamento umano, vide la pelle cambiare colore e diventare prima grigia poi nera, vide gli occhi accendersi di sangue e lo senti urlare.
Holly avrebbe cercato di togliersi di mezzo, se le gambe avessero risposto, ma rimaneva immobile di fronte a quella bestia. Cerco di spostarsi di lato andando a sbattere sullo scaffale dei liquori che cominciò ad ondeggiare pesantemente. In un momento di lucida pazzia cerco di non far cadere le bottiglie, ne prese addirittura due al volo ma poi non ebbe il tempo di metterle al sicuro. La bestia saltò sul bancone e ruggì, sbuffò vapore dalle narici come un toro che si prepara alla carica.
Holly si mise in ginocchio recitando, o per lo menò cercò di recitare, un’ave Maria, ma il mostro non udiva più le preghiere, il mostro aveva fame e si saziò del corpo e della paura di Holly.

Nel locale tornò il silenzio, e oltre al condizionatore l’unico rumore adesso era la porta spostata dal vento che batteva sul telaio.
Il giorno dopo a Molde, chi ebbe la sfortuna di entrare nel Caffè, trovo i miseri resti di Holly in una pozza di sangue. Un assassino? Un animale impazzito? In tanti anni nessuno aveva mai assistito ad una cosa del genere. Chi era arrivato a Molde? Chi uccideva in questo modo?
Gli abitanti, Lo sceriffo, perfino i bambini si domandarono che cosa si nascondeva nel loro paese, ma nessuno era arrivato dal mare negli ultimi giorni, nessun viso nuovo aveva attirato l’attenzione di qualcuno.
Forse il Male a Molde era sempre esistito e forse adesso aveva deciso di mostrare la sua esistenza.
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lunedì 5 ottobre 2009

Downloads : Il lupo mannaro uccide per la prima volta

Quando ho cominciato a scrivere il mio libro, ho pensato molto a come doveva essere il mio licantropo, lo volevo forte, intelligente e volevo un licantropo che non avesse problemi ad abbattere qualsiasi cosa lo dividesse dalla sua preda. Così ho scritto della morte del vecchio Wildmer.

Questo è il mio licantropo personale, o per lo meno l'istantanea del lupo mannaro che avevo in mente.

Per scaricare il documento

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venerdì 2 ottobre 2009

Musiche Mannare: POWERWOLF - Bible Of The Beast

Sarà che la germania mi ha sempre affascinato, ma questi tedeschi, complici i testi delle canzoni fanno proprio al caso mio, se cercate canzoni sui lupi mannari qui ne trovate a vagonate. Questo è il loro 3° disco e anche il mio preferito. Su tutto il disco viene stesa una pesantissima patina sinfonica che rende veramente le canzoni sinistre e oscure.

buon ascolto.

Sito web ufficiale http://www.powerwolf.net
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I luoghi di The Dark Moon of Molde

Molde esiste veramente, è un comune della Norvegia, l'ho visitato in passato e ne sono rimasto affascinato. Ma volevo di più, volevo un luogo irraggiungibile, dove cultura e tradizioni fossero rimasti fermi in un epoca e il mondo esterno abbia contaminato poco la vita di questa città. Così ho preso Molde, con le sue vie, le sue case e tutto quello di cui mi ricordavo e l'ho messo in un'isola sopra il circolo polare artico, ho messo boschi (non esistono licantropi senza un bosco che si rispetti secondo me), ho messo laghi, ma soprattutto ho inserito nel mio racconto tutte quelle emozioni che si provano a restare per un lungo inverno senza la luce del sole.
In poche parole mi sono creato un mondo tutto mio, magari non proprio originale, ma sicuramente pieno di fascino oscuro.
Per me Molde stà lì in mezzo al mare gelido nel nord, e da qualche parte esiste veramente.
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Letture Mannare: Robert McCammon - L'ORA DEL LUPO

Tra tutti i modi di descrivere un lupo mannaro McCammon innalza la figura del licantropo a livelli di eroismo e sentimenti mai letti fino ad ora. In effetti il licantropo di McCammon è molto particolare, è dotato di un'intelligenza acuta e di un fascino fuori dal comune. Michael Gallatin in effetti presta le sue doti al Governo di Sua Maestà britannica durante la Seconda Guerra Mondiale. Da avere sicuramente.
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giovedì 1 ottobre 2009

Wolfman : il trailer in italiano

Dopo non pochi problemi durante le riprese del film , finalmente il Wolfman di Joe Johnston stà per vedere la luce, intanto un assaggio del film con il trailer in italiano.

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La prima bozza del mio libro, le poche righe da cui è partito tutto, naturalmente piene di errori , ma da qualche parte bisogna pur cominciare.......

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Letture Mannare : Fred Vargas, l'uomo a rovescio

Parto subito con uno dei romanzi che più mi ha entusiasmato, qui la figura del lupo mannaro viene fuori in modo veramente insolito, una bellissima storia, un giallo che si mescola con l'horror, i paesaggi che la vargas descrive in maniera veramente sublime, il classico libro che si legge al volo e appena finito ti viene voglia di rileggerlo.








Le prime pagine


Martedì ci furono quattro pecore sgozzate a Ventebrune, nelle Alpi. E giovedì nove a Pierrefort. - I lupi, -disse un vecchio. - Scendono a valle.
L'altro vuotò il bicchiere, alzò la mano. - Un lupo, Pierrot, un lupo. Una bestia come non ne hai mai viste. Che scende a valle.
I. C'erano due tizi, stesi tra i rovi.
- Cosa ti credi, di insegnarmi il mio mestiere? - bisbigliò il primo.
- Non mi credo niente, - rispose il compagno, un ragazzone con i capelli lunghi e biondi che si chiamava Lawrence.
I due uomini, con il binocolo in pugno, osservavano immobili una coppia di lupi. Erano le dieci del mattino, il sole gli cuoceva la schiena.
- Quel lupo lì è Marcus, - riprese Lawrence. - È tornato.
L'altro scosse il capo. Era un uomo della zona, piccolo, scuro, un po' tignoso. Da sei anni teneva d'occhio i lupi del Mercantour. Si chiamava Jean.
- È Sibellius, - mormorò.
- Sibellius è più grosso. E non ha quel ciuffo giallo intorno al collo.
Jean Mercier, spiazzato, regolò di nuovo il binocolo, mise a fuoco ed esaminò attentamente il lupo maschio che, trecento metri a est.del loro punto di osservazione, girava intorno alla rupe di famiglia levando talora il muso al vento. Erano vicini, troppo vicini, avrebbero fatto meglio a indietreggiare ma Lawrence voleva filmare a tutti Ì costi. Era venuto per questo, per filmare i lupi, poi se ne sarebbe tornato in Canada con il suo reportage. Ma da sei mesi rinviava il ritorno con oscuri pretesti. Per dirla proprio tutta, il canadese aveva messo le tende. Jean Mercier sapeva il perché. Lawrence Donald Johnstone, noto studioso dei grizzly canadesi, aveva perso la testa per un pugno di lupi europei. E non si decideva a dirlo. Del resto, il canadese parlava il meno possibile.
- Tornato in primavera, - mormorò Lawrence. - Messo su famiglia. Ma lei non la inquadro.
- E Proserpine, - bisbigliò Jean Mercier, - la figlia di Janus e Junon, terza generazione.
- Con Marcus.
- Con Marcus, - ammise finalmente Mercier. - E quel che è sicuro è che ci sono dei lupacchiotti nuovi nuovi.
- Bene.
- Benissimo.
- Quanti?
- Troppo presto per dirlo.
Jean Mercier prese qualche appunto su un taccuino appeso alla cintura, bevette dalla borraccia e riprese la propria posizione senza far scricchiolare neppure un fuscello. Lawrence posò il binocolo, si asciugò la faccia. Tirò a sé la cinepresa, e dopo aver messo a fuoco Marcus l'avviò sorridendo. Aveva passato quindici anni della sua vita tra Ì grizzly, i caribù e i lupi del Canada, a percorrere da solo le immense riserve, a osservare, annotare, filmare, dando talora una mano ai suoi amici selvatici più vecchi. Non esattamente dei mattacchioni. Una vecchia femmina di grizzly, Joan, gli veniva incontro a capo chino per farsi grattare la pelliccia. E Lawrence non immaginava che la povera Europa, striminzita, devastata e ammansila, avesse qualcosa di decente da offrirgli. Aveva accettato quella missione-reportage nel massiccio del Mercantour con molta riluttanza, tanto per.
E invece aveva finito per mettere radici in quell'angolo di montagna, rimandando il ritorno. In poche parole, temporeggiava. Temporeggiava per i lupi europei e il loro misero manto grigio, parenti poveri e ansanti degli animali folti e chiari dell'Artico e che meritavano, secondo lui, tutto il suo affetto. Temporeggiava per i nugoli di insetti, per il sudore a fiumi, per la macchia carbonizzata, per il calore crepitante delle terre mediterranee. - E aspetta, non hai ancora visto niente, - gli diceva Jean Mercier in tono un po' sentenzioso, con l'espressione orgogliosa degli habitué, di quelli stracotti, dei sopravvissuti dell'avventura solare. - Siamo solo a giugno.
E poi temporeggiava per Camille.
Da quelle parti dicevano «piantare le tende».
- Non è un rimprovero, - gli aveva detto Jean Mercier in tono solenne, - è solo perché tu lo sappia: hai piantato le tende. – Be’, adesso lo so, - aveva risposto Lawrence.
Lawrence spense la cinepresa, la posò delicatamente sulla sua borsa, la copri con un panno bianco. Il giovane Marcus era sparito verso nord.
- A caccia prima del grande caldo, - commentò Jean.
Lawrence si spruzzò la faccia, inumidì il cappellino, bevette una dozzina di sorsi. Dio santo, che sole. Mai visto un inferno simile.
- Almeno tre lupacchiotti, - mormorò Jean.
- Sto cuocendo, - disse Lawrence con una smorfia, passandosi la mano sulla schiena.
- Aspetta. Non hai ancora visto niente.

© 2006, Giulio Einaudi editore

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